GAS Lucca Mattaccio

IL G.A.S CHE VORREMMO

solo acquisti o qualcosa di più ?

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  1. Il poeta
     
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    I GAS si stanno diffondendo un po’ ovunque in Italia: all’inizio del 2009 sono più di 500 quelli censiti. Non esiste un’unica maniera di essere GAS; ogni gruppo, anzi, si differenzia dagli altri sia come organizzazione, che come attività portate avanti.
    Esistono, però, una rete nazionale e varie reti locali che forniscono un punto di riferimento importante e consentono uno scambio di informazioni e punti di vista.
    Dal confronto con gli altri possono scaturire spunti per riflessioni; ad esempio i GAS più attivi e vitali si caratterizzano per attività che vanno oltre il semplice acquisto di prodotti e per una ricerca della partecipazione dei membri del gruppo.

    E’ così che mi piacerebbe girarvi alcune domande che mi sto facendo da un po’ di tempo:

    -“Siete soddisfatti delle attività del vostro GAS o vorreste qualcosa di più ?
    Cosa ? Credete che un GAS dovrebbe occuparsi solo di acquisti, prodotti e produttori o ci dovrebbe essere più spazio per riflessioni sul senso del progetto ?
    In particolare sentite il bisogno di un coinvolgimento maggiore, di essere più gruppo ?
    Avete qualche suggerimento
    ?”

    Mi piacerebbe che ognuno provasse a rispondere a ruota libera.
    Ciao
    Renato


     
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    Butto giù un po' di pensieri:
    - sicuramente mi piacerebe riflettere di più sulla consapevolezza del nostro essere acquirenti
    - mi piacerebbe un rapporto più forte con i produttori
    - mal sopporto i vincoli di legge
    - se si parla di progetto, qual è questo progetto? io di certo non me ne sento parte e per ora mi muovo "a sentimento"
    - l'essere più gruppo credo sia una cosa auspicabile, ma al tempo stesso dovrebbe venir fuori come un moto spontaneo e certamente non imposto.
    - mi piacerebbe analizzarlo dal punto di vista dei costi e benefici
    ...

    Carlo
     
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  3. lalli
     
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    Sono d'accordissimo con Carlo riguardo al fatto che il sentirsi gruppo viene (o dovrebbe venire) spontaneamente.
    Del resto, il gruppo sottintende diversità, compromessi, dialogo, rivedere le proprie posizioni, adeguarsi a cose che non vorremmo, scomodarsi un po', coordinarsi, e tanto altro ancora, che non sempre il gruppo stesso riesce a contenere.
    Personalmente sono contenta del GAS, in cui cerco una alternativa all'acquisto furioso a cui mi spinge il supermercato.
    Non è la perfezione, lo so, ma una piccola goccia.
    Sono contenta dei rapporti interpersonali che nel tempo si sono creati, grazie alle attività del GAS, pur nella consapevolezza che non si puo', con un gruppo cosi' grande, creare momenti di condivisione piu' frequenti o piu' pregnanti.
    Mi stufo a parlare sempre di prodotti e produttori, alle riunioni. Mi piacerebbe maggiormente trovare dei temi di discussione che ci interessano (e nel tempo gia' l'abbiamo fatto) o trovare altre buone prassi con cui "contagiare" il posto in cui viviamo.
    Ma al tempo stesso, sono gia' contenta del "poco" che abbiamo fatto fino ad oggi.
    Mi sa che ho scritto anche troppo.....
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    ilaria
     
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    io in generale non sono molto contento...
    è un po' che ci sto riflettendo,
    e continuo a farlo
     
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  5. giovannicesaretti
     
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    E' più di un anno che sono dentro al GAS. Sono soddisfatta dell'impegno mio e di tutte le persone che vi afferiscono anche solo per il fatto che ci siamo posti un problema e che rispondiamo acquistando in modo "solidale". Non sento l'esigenza di sentire il Gas più gruppo di così. Mi rendo conto che sarebbe bello diffondere l'idea di Gas e la mentalità che ci sta dietro. Ma non ho idea del come. Non credo servano più riunioni o eventi di gruppo. Ognuno di noi può incidere sul suo ambiente se vuole, per far cambiare chi gli sta attorno.
    Casomai si potrebbe, intanto, cercare un tema da approfondire ad ogni riunione.
    Ciao
    Laura
     
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  6. Michirob
     
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    Abbiamo letto questo intervento di Franco Berardi detto Bifo, ci è sembrato un contributo utile alla discussione.
    Michela e Roberto


    IL COMUNISMO E' TORNATO
    MA DOVREMMO CHIAMARLO TERAPIA DI SINGOLARIZZAZIONE


    1. NON UNA CRISI, MA IL COLLASSO
    Economisti e politici la chiamano crisi e sperano che si evolva come
    le molte crisi che hanno scosso l’economia durante il secolo passato e
    che sono finite rafforzando il capitalismo. Ma io penso che questa
    volta sia diverso. Questa non è una crisi, ma il collasso finale di un
    sistema che è durato cinquecento anni. Non è una crisi ma il segno
    della incompatibilità tra potenza delle forze produttive (rete
    globale, lavoro cognitivo immaterializzazione) e paradigma
    capitalistico.
    Guardiamo il panorama: le grandi potenze del mondo stanno cercando di
    salvare le istituzioni finanziarie, ma il collasso finanziario ha già
    colpito il sistema industriale, la domanda sta precipitando, milioni
    di posti di lavoro scompaiono. Per salvare le banche, lo stato è
    costretto a prender soldi dai contribuenti di domani, e questo
    significa che nei prossimi anni la domanda è destinata a cadere
    ulteriormente.
    In un articolo pubblicato sull’International Herald Tribune, scrive
    David Brooks:

    “Temo che stiamo operando in condizioni che sono molto al di là della
    nostra conoscenza economica.”

    Qui sta il punto: la complessità dell’economia globale è di gran lunga
    al di là della capacità di conoscenza di cui dispone l’economia come
    scienza e come tecnica. L’economia moderna ha funzionato finora come
    tecnica di produzione della scarsità e di organizzazione dello
    sfruttamento del lavoro. Ma ora questa tecnica non riesce più ad
    organizzare la complessità e la ricchezza infinita delle forze
    produttive nell’epoca delle tecnologie dell’informazione e del
    capitalismo cognitivo. E la forma di conoscenza che si è definita come
    economica nell'epoca moderna non è in grado di cogliere la complessità
    di una produzione che ha coinvolta l'anima, il linguaggio, l'affetto.
    Fin quando rimane incapace di autonomia dai criteri dell’economia, la
    politica non può aver più ogni controllo sulle dinamiche sociali che
    il crollo finanziario del 2008 ha messo in moto.
    Presentando il piano economico di Obama, il 10 febbraio 2009, il
    segretario del Tesoro Timothy Geithner ha detto: “ Voglio essere
    sincero. Questa strategia costerà danaro, comporterà rischio e
    richiederà tempo. Dovremo adattarla man mano che le condizioni
    cambiano. Dovremo fare cose che non abbiamo tentato di fare in
    precedenza. Faremo errori. Passeremo periodi in cui le cose vanno
    peggio e il progresso è improbabile o interrotto.”

    Queste parole testimoniano l’onestà intellettuale di Geithner,
    (pensate che differenza rispetto alla tracotanza intellettuale del
    clan bushista. Ma al tempo stesso dimostrano un crollo della fiducia
    negli strumenti di comprensione della politica e dell'economia.
    La conoscenza politica che abbiamo ereditato dalla filosofia
    razionalistica dell’epoca moderna è oggi inutilizzabile. I problemi
    posti dalla depressione non possono essere risolversi con
    l’adattamento e la razionalizzazione dell’Economia. Il paradigma
    capitalista non può essere più la regola universale dell’attività
    umana.
    La storia del capitalismo moderno è finita.
    E allora?


    2 ECONOMIA CRIMINALE
    Sguardo retrospettivo alla crescita e al declino dell’economia
    neoliberale, che proclamava la legge del più forte. Vediamo due
    aspetti, nell’economia post-moderna degli ultimi trent’anni: uno è
    quella della Net economy, l’altro quello del capitalismo criminale.

    L’economia di rete è basata sulla collaborazione e la condivisione,
    sulla creazione di nuovi metodi di gestione dell'attività sociale.
    L’economia di rete sfida il principio proprietario che ha dominato la
    società capitalista moderna. Per riaffermare e re-imporre il ruolo
    proprietario, il capitalismo ha allora abbandonato ogni regola legale
    nel perseguimento del profitto, ha usato la guerra come forma suprema
    della competizione. Questa politica ha portato l’economia globale nel
    casino attuale, ma i criminali sono ancora al potere pur avendo
    fallito nel governare la caotica realtà creata dalla deregulation.
    Ma sullo sfondo cresce la potenza autonoma del general intellect
    rispetto alla classe dirigente criminale che ha fatto bancarotta.
    La vittoria di Obama può aprire un nuovo periodo nell’evoluzione
    dell’umanità. Questo evento ha iniettato nuova speranza nell’esercito
    pacifico del general intellect in tutto il mondo. Il nuovo presidente
    è stato votato massicciamente dal lavoro cognitivo e la sua vittoria è
    la sconfitta della classe criminale e del fanatismo rappresentati da
    Cheney Bush. Ma questa vittoria segna solo l’inizio della lotta, che
    sarà conflitto tra la forza intellettuale contro la brutale forza
    dell’ignoranza, della violenza e del profitto.
    Possiamo descrivere questa lotta tra intelligenza collettiva e
    dogmatismo neoliberista nei vecchi termini della lotta di classe? Sì e
    no.
    Sì perché effettivamente il lavoro intellettuale in rete (che possiamo
    chiamare cognitariato) è la principale forza produttiva di questo
    tempo in termini di valorizzazione e in termini di utilità sociale.
    No, perché la complessità del panorama sociale è cresciuta fino a un
    punto che non può più ridursi allo’opposizione lineare di un fronte
    sociale contro un altro.

    La classe criminale è composta da avventurieri della finanza, managers
    delle grandi corporationi e da una lunpen-bourgeoisie di tipo mafioso,
    ma anche di vasti strati sociali della popolazione che sono incapaci
    di far fronte alle conseguenze della crisi.
    La dissociazione tra proprietà e gestione, la finanziarizzazione del
    processo di accumulazione rendono impossibile la individuazione di una
    controparte sociale. La proprietà è stata polverizzata, e la gestione
    de-personalizzata. La classe criminale ha preso il potere in due
    mosse: prima la dichiarazione neoliberista del primato della
    competizione su ogni regola etica o politica o legale. Seconda
    l’occupazione del sistema di produzione della mente collettiva, il
    media system.
    Producendo le aspettative sociali e l’immaginazione collettiva, il
    sistema mediatico ha espropriato la classe cognitiva produttiva e
    soggiogato gli sfruttati agli incubi dei loro sfruttatori.
    L’occupazione privata dello spazio sociale di comunicazione
    (pubblicità, televisione) ha prodotto l’effetto distorto di
    un’identificazione alienata. Gli sfruttati, lavoratori, consumatori
    sono stati spinti a vedersi attraverso gli occhi dei proprietari del
    Mediascape. La privatizzazione della vita, la distruzione della rete
    sociale e di solidarietà e la privatizzazione del bisogno e del
    consumo sono state mediaticamente organizzate.

    La privatizzazione della mobilità è il miglior esempio di questa
    distorsione della sfera pubblica. Un oggetto irrazionale e
    ingombrante, la macchina privata (tre tonnellate di ferro per lo
    spostamento di un corpo che pesa solo ottanta chili) è stato l’oggetto
    centrale della produzione industriale del secolo ‘900. E in ogni caso
    perché le auto debbono essere private? Potrebbero essere oggetti
    pubblici che ognuno può prendere e usare per il tempo necessario, poi
    lasciare aperte nelle strade, pronte per il trasporto di qualcuno
    altro. Potrebbero essere sostituite da un sistema di trasporto molto
    più comodo. Perché il sistema di trasporto pubblico è stato sabotato
    dalla classe dirigente negli ultimi decenni? Sappiamo bene il perché:
    perché l’economia capitalista crea scarsità nel campo del trasporto
    come in ogni altro campo. La creazione di scarsità è la premessa
    dell’accumulazione, ed è resa possibile dalla privatizzazione del
    bisogno. Il bisogno non è un impulso naturale, ma il prodotto di
    un’azione culturale che modella l’immaginazione sociale e la
    sensibilità.
    Negli anni ’90 la crescita della produzione in rete e la diffusione
    della cibercultura libertaria avevano aperto la strada a un’alleanza
    tra capitalismo finanziario e lavoro cognitivo. Sotto la bandiera
    delle dotcom, giovani intellettuali e scienziati poterono trovare i
    mezzi per creare la loro impresa e divenne possibile un processo di
    redistribuzione del reddito. Ma questa alleanza fu rotta quando la
    classe criminale prese il controllo della potenza tecnologica per
    sottometterla alla guerra.

    Negli anni ’90 l’esperienza delle dotcom era stata largamente
    catturata dall’illusione neoliberista, ma nel primo decennio del nuovo
    secolo il lavoro intellettuale è stato precarizzato, costretto ad
    accettare qualsiasi condizione economica. La rottamazione del general
    intellect è stata perseguita dalle forze della reazione neoliberista:
    la conoscenza frammentata, il reddito ridotto, lo sfruttamento e lo
    stress in aumento perenne.
    Il crollo delle dotcom e 9/11 segnarono l’assoggettamento
    dell’esperienza tecnologica alla guerra.
    Ma la produzione di massa della paura, il fanatismo e l’ignoranza non
    furono sufficienti per costringere gli occidentali ad accettare la
    guerra. Questo consenso fu comprato attraverso un enorme
    indebitamento.
    I cittadini occidentali vennero invitati dal presidente Bush a uscir
    di casa e fare shopping. Shopping contro il terrore e contro la
    depressione psichica. Ma questo accesso massiccio al consumo è stato
    finanziato da un indebitamento senza limiti. La popolazione
    euroamericana è stata sistematicamente spinta a comprare montagne di
    cose inutili, è stata intossicata mentalmente dalla pubblicità e
    costretta a identificare la felicità con il consumo e il benessere con
    il possesso.

    La privatizzazione del bisogno e la riduzione del benessere
    all’acquisizione ha distrutto ogni senso di dignità e di amore di sé.
    Il tempo sociale di attenzione è stato occupato dal flusso di
    info-lavoro e di pubblicità. Il linguaggio è stato assorbito dal
    lavoro, e abbandonato dall’affetto. Amore, tenerezza, sesso, affetto e
    cura degli altri sono stati trasformati in merce. Ogni persona è
    divenuta proprietaria di molte carte di credito, trasformata in una
    macchina per comprare, costretta a lavorare sempre di più per poter
    pagare un debito crescente. Il debito è diventato la catena universale
    e così si sono create le condizioni per il collasso generale. E alla
    fine il collasso è arrivato.
    Non ci sarà alcuna ripresa, la crescita non ritornerà, non solo perché
    la gente non sarà più in grado di pagare per il debito accumulato
    durante i tre decenni passati, ma anche perché le risorse fisiche del
    pianeta sono prossime all’esaurimento, e le risorse nervose del
    cervello sociale sono prossime a un crollo.
    Che accadrà ora?


    3. PROTESTA ETICA E GUERRA
    Alla fine degli anni ’90, quando il processo di globalizzazione
    sembrava inarrestabile, il suo potenziale di devastazione ben nascosto
    nelle parole dei guru neoliberisti, e quando la filosofia della
    privatizzazione non si poteva criticare, un movimento di protesta
    etica emerse dalle fila del lavoro cognitivo. Alla fine del secolo
    capitalista, nell’estremo occidente dell’occidente, a Seattle,
    centomila persone si incontrarono e marciarono per fermare il summit
    WTO e per protestare contro gli effetti dello sfruttamento globale.
    Era il principio dell’epoca della Dimostrazione Etica. Da Seattle a
    Genova, da Praga a Bologna a Cancun folle di lavoratori precari e
    cognitivi marciavano insieme. Erano la coscienza etica del mondo, e
    naturalmente vennero aggrediti dalla polizia per istigazione della
    classe criminale.
    Alcuni vennero uccisi, molti arrestati, perché stavano dicendo la
    verità. Essi cercavano di avvertire il popolo della terra che un
    grande pericolo era in vista. Ora sappiamo che avevano ragione. I
    dimostranti noglobal stavano avvertendo della catastrofe imminente, e
    adesso la catastrofe è arrivata.
    I dimostranti etici furono sconfitti, dopo la marcia mondiale contro
    la guerra del 15 febbraio del 2003. Centomilioni di persone marciarono
    quel giorno contro la guerra in Iraq. Bush rispose che non aveva
    bisogno di consigli e cominciò la guerra.
    La classe criminale dell’ignoranza vinse contro il movimento
    dell’intelletto generale.
    Ecco perché adesso il mondo sta collassando.

    Poi la violenza si oppose alla violenza, i fanatici combatterono
    contro i fanatici.
    Dall’Iraq all’Afghanistan, dal Pakistan all’Iran alla Georgia,
    l’esercito americano è stato sconfitto dovunque, e isolato. E alla
    fine, il collasso finanziario non è certo privo di rapporto con la
    sconfitta geopolitica.
    Mentre stava svanendo il periodo delle dimostrazioni etiche, un nuovo
    ciclo di insurrezione esplose da qualche parte in occidente. Le
    rivolte delle banlieux di Parigi nel novembre 2005, l’insurrezione dei
    maestri a Oaxaca ottobre 2006, l’esplosione di rivolta generale in
    Grecia nel dicembre 2008 sono stati annunciatori di una ondata
    insurrezionale che scuoterà parti del mondo nei prossimi anni, mentre
    la recessione devasterà la vita sociale. Insurrezioni sparse avranno
    luogo, ma non dobbiamo aspettarcene molto. Esse saranno incapaci di
    toccare i veri centri del potere, a causa della militarizzazione dei
    territori metropolitani, e non saranno capaci di ottenere molti
    risultati in termini di ricchezza materiale o di potere politico.
    Come la lunga onda di protesta morale non poté distruggere il potere
    neo liberista così le rivolte insurrezionali non troveranno una
    soluzione, fin quando una nuova coscienza e una nuova sensibilità non
    emergerà e non si diffonderà cambiando la vita quotidiana e creando
    Zone Autonome NON Temporanee, radicate nella cultura e nella coscienza
    della rete globale.

    Catastrofe significa, in greco, un cambio della posizione che permette
    all’osservatore di vedere cose che non poteva vedere prima. La
    catastrofe apre nuovi spazi di visibilità e di possibilità, ma implica
    anche un cambio di paradigma.
    Il pieno impiego è finito. Il mondo non ha bisogno di tanto lavoro, di
    tanto sfruttamento. Il reddito di cittadinanza dovrà affermarsi come
    diritto alla vita indipendente dall’impiego e dalla prestazione di
    tempo di lavoro. Le zone autonome NON temporanee organizzeranno
    l’attività sociale nella forma di aiuto collettivo reciproco.


    4. IL DEBITO
    Non dovremmo considerare la recessione come un fenomeno economico, ma
    vederla come una svolta antropologica che cambierà la distribuzione
    delle risorse mondiali e del potere mondiale. L’Europa è condannata a
    perdere il suo privilegio economico, ora che finiscono i 500 anni di
    colonialismo. Il debito, che i bianchi hanno accumulato non è solo un
    debito economico ma anche morale: il debito dell’oppressione, della
    violenza e del genocidio deve essere pagato, e non sarà così facile.
    Una larga parte della popolazione europea non è pronta ad accettare la
    redistribuzione della ricchezza che la recessione impone. L’Europa,
    travolta da ondate di immigrazione, dovrà affrontare una minaccia
    razzista crescente. La guerra civile interetnica sarà difficile da
    evitare.

    La vittoria di Obama segna l’inizio della fine della dominazione
    bianca che è stata la premessa del sistema capitalista moderno.
    Un’onda di rinascenza indigena non identitaria sta montando,
    specialmente in America Latina. La battaglia tra lavoro e capitale ha
    raggiunto una nuova fase, che potrebbe avere esiti imprevedibili. Non
    possiamo sapere cosa intenda fare davvero l’amministrazione americana.
    Come dice Geithner, l’Amministrazione Obama sta procedendo per
    tentativi. Questo è il senso del concetto di pragmatismo
    post-partisan: le vecchie soluzioni ideologiche non funzionano più,
    sia il liberismo che il socialismo sono inefficaci. La classe
    dirigente e gli economisti propongono vecchi metodi per affrontare la
    recessione, usano mappe vecchie per un territorio nuovo. Tutti dicono
    il protezionismo è una brutta cosa, ma tutti proteggono la loro
    economia nazionale. I neoliberisti dicono che lo stato dovrebbe
    salvare le banche pagare i debiti e restaurare il credito quindi
    lasciare che i proprietari privati riprendano le loro imprese. I
    socialisti per parte loro dicono che lo stato deve prendere in mano le
    banche e nazionalizzare le imprese. Ma che differenza farebbe se le
    imprese nazionalizzate continuassero a produrre la stessa roba?
    L’alternativa tra privato e pubblico è falsa, la soluzione non sta più
    nel campo dell’economia ma nel campo della cultura sociale.

    Il modello della crescita è stato interiorizzato profondamente, ha
    pervaso la vita quotidiana, la percezione i bisogni gli stili di
    consumo. L’azione culturale deve liberarci da questo modello.


    5. COMUNISMO SENZA AUFHEBUNG
    La privatizzazione dei bisogni, come abitazione trasporto
    alimentazione, e la privatizzazione dei servizi sociali fonda
    l’identificazione culturale della ricchezza e del benessere come
    quantità di proprietà privata. Nell’antropologia del capitalismo
    moderno il benessere è stato identificato con la acquisizione, mai con
    il godimento.
    Nel corso della tempesta sociale che stiamo per attraversare
    l’identificazione di benessere e proprietà deve essere messa in
    questione. E’ un compito politico, ma soprattutto un compito
    culturale, ed anche un compito psicoterapeutico. La giustificazione
    teoretica della istituzione della proprietà privata (ad esempio nel
    pensiero di John Locke) è basata sulla necessità di garantire il
    godimento esclusivo di una cosa che non può essere condivisa: una mela
    non può essere condivisa, se la mangio io non la mangi tu. Ma nell’era
    digitale lo statuto dei beni è cambiato: i beni immateriali sono roba
    semiotica che non viene annullata dall’uso. Quando si tratta dei
    prodotti semiotici la proprietà privata diviene irrilevante, e in
    effetti è sempre più difficile imporla legalmente. Le campagne contro
    la pirateria sono in effetti paradossali, perché i veri pirati sono le
    corporazioni che cercano disperatamente di privatizzare il prodotto
    dell’intelligenza collettiva. I prodotti dell’intelligenza collettiva
    sono immanentemente comuni perché la conoscenza non può essere
    frammentata né posseduta privatamente. Un nuovo tipo di comunismo
    stava emergendo dalla trasformazione prodotta dalla rete digitale,
    quando il collasso dei mercati finanziari e della ideologia
    neoliberista ha mostrato la fragilità dei fondamenti
    dell’ipercapitalismo, ed ora possiamo prevedere una nuova onda di
    trasformazione che viene dal collasso della crescita e del debito, e
    anche del consumo privato.

    A causa di tre forze – comunalità della conoscenza, crisi ideologica
    del privatismo, necessaria comunalizzazione del bisogno – si sta
    aprendo un nuovo orizzonte e comincia ad emergere un nuovo paesaggio.
    Il comunismo sta ritornando.
    La vecchia faccia del comunismo, che era fondato sul volontarismo di
    una avanguardia, e sulle attese paranoiche di una nuova totalità, è
    stata sconfitta alla fine del ventesimo secolo e non risorgerà mai.
    Ora sta emergendo una nuova forma del comunismo come forma della
    necessità, come risultato inevitabile del tempestoso collasso del
    sistema capitalistico finanziarizzato. Il comunismo del capitale è una
    necessità barbarica. Occorre introdurre libertà e scelta in questa
    necessità. Occorre creare un paradigma che faccia della necessità del
    comunismo del capitale una scelta cosciente e organizzata.

    Il comunismo ritorna ma dovremmo chiamarlo in un modo differente. Il
    comunismo storico del XX secolo era fondato sull’idea di un primato
    della Totalità sulla singolarità. Ma il contesto dialettico che
    definiva il movimento comunista del xx secolo è completamente stato
    abbandonato.
    La visione hegeliana ha giocato un ruolo decisivo nella formazione di
    quel tipo di credenza religiosa che si chiamava storicismo.
    L’Aufhebung (abolizione del reale e realizzazione dell’idea) è il
    retroterra paranoico dell’antica concettualizzazione del comunismo. In
    quel contesto dialettico il comunismo era visto come una totalità
    universale che avrebbe dovuto abolire la totalità universale
    capitalista. Il soggetto (volontà e azione della classe operaia) era
    visto come lo strumento per l’abolizione del vecchio e per
    l’instaurazione del nuovo.


    6. SINGOLARITA’
    Essendo la classe operaia esterna al processo di produzione dei
    concetti, poteva trovare identità solo nella mitologia dell’abolizione
    e della totalizzazione, ma l’intelletto generale non ragiona in
    termini di totalità ma in termini di globalità e di singolarizzazione.
    L’intelletto generale è come il pesce di cui parla Iggy Pop:
    “The fish is mute expressionless, because the fish knows.
    Everything.”
    L’intelletto generale non ha bisogno di un soggetto espressivo come
    era il partito leninista nel ventesimo secolo. L’espressione politica
    dell’intelletto generale è tutt’uno con la sua azione di conoscenza
    creazione e produzione di segni. Noi abbiamo abbandonato il terreno
    della dialettica per il territorio plurale della dinamica di
    singolarizzazione e per la coevoluzione di singolarità.

    Il capitalismo è finito, ma non è destinato a scomparire. La creazione
    di zone NON temporanee autonome non produrrà nessuna totalizzazione.
    Dopo aver abbandonato il terreno della Dialettica di abolizione e
    totalizzazione cerchiamo ora di costruire una teoria della dinamica di
    ricombinazione e singolarizzazione, concetto che ricaviamo dall’opera
    di Felix Guattari specialmente dal suo ultimo libro, Chaosmose.
    Con la parola singolarità intendo un agente affettivo e semiotico che
    non segue alcuna regola di assoggettamento.
    La singolarità è un processo non necessario, perché non è logicamente
    né materialmente implicato nella consequenzialità della storia.
    Singolarità non significa “individualità”: si possono avere
    singolarità collettive.

    Durante i prossimi mesi e anni non avremo un processo di liberazione
    generale, un evento catartico di rivoluzione, non vedremo l’improvviso
    crollo del potere di stato. Vedremo una sorta di rivoluzione senza
    soggetto, vedremo un proliferare le singolarità.
    Il potere degli stati moderni è destinato forse a sopravvivere e
    trascinarsi in una condizione di crescente impotenza e corruzione
    mentre la società creerà le sue istituzioni. Gli stati stanno
    diventando essenzialmente una macchina militare di controllo e
    repressione. Incapace di governare realmente una società che viene
    minacciata dagli effetti del collasso economico, la macchina dello
    stato reagirà come macchina di guerra. La democrazia non è distrutta
    da cambiamenti costituzionali, ma dalla corruzione dei suoi fondamenti
    culturali, dalla instaurazione del potere totalitario mediatico, dalla
    impossibilità di governare razionalmente l’Insieme Caotico.

    Abbandonare la totalità, far proliferare singolarità, questo è la via
    della democrazia post-capitalista.


    7. INFINITO PROCESSO DI TERAPIA
    Non dobbiamo attenderci un cambiamento repentino del panorama sociale,
    piuttosto il lento emergere di nuove tendenze: comunità che
    abbandonano il campo dell’economia dominante che crolla, un numero
    crescente di individui che smettono di cercare lavoro e creano la
    propria rete autonoma di attività.
    Lo smantellamento dell’industria è inarrestabile per la semplice
    ragione che la vita sociale non ha più bisogno di lavoro industriale.
    Il mito della crescita sarà abbandonato e la gente cercherà nuove
    forme di distribuzione della ricchezza. Le comunità singolari
    cambieranno la stessa percezione del benessere e della ricchezza nel
    senso della frugalità e della libertà del tempo. La rivoluzione
    culturale di cui abbiamo bisogno in questa transizione conduce dalla
    percezione della ricchezza come proprietà privata di beni di cui non
    possiamo godere perché non ne abbiamo il tempo, alla percezione della
    ricchezza come godimento di una quantità di beni che saranno tanto più
    utili e abbondanti quanto più potremo condividerli con gli altri.
    La de-privatizzazione dei servizi e dei beni sarà resa possibile da
    questa urgente rivoluzione culturale. Ciò non accadrà in modo
    pianificato e uniforme, ma piuttosto sarà l’effetto della sottrazione
    di singolarità individuali e comunitarie, e della creazione di
    un’economia dell’uso condiviso di beni comuni, e della liberazione di
    tempo per la cultura il piacere e l’affetto.

    Mentre questo processo si espande nei sotterranei della società, la
    classe criminale si aggrappa al suo potere, crea una legislazione
    sempre più repressiva, rendendo il clima sociale aggressivo e
    disperato. La guerra civile interetnica si diffonderà in Europa,
    devastando lo stesso tessuto della vita sociale.
    La proliferazione di singolarità (sottrazione e costruzione di zone
    autonome NON temporanee) sarà un processo pacifico, ma la maggioranza
    conformista talvolta reagirà violentemente, e questo già sta
    accadendo. La maggioranza conformista è spaventata dalla fuga
    dell’energia intelligente e al tempo stesso aggredisce l’espressione
    dell’attività intelligente.

    La situazione può essere descritta come una lotta tra ignoranza di
    massa prodotta dal totalitarismo mediatico, e intelligenza condivisa
    dell’intelletto generale.
    Non possiamo prevedere quale sarà l’esito di questo processo. Il
    nostro compito è estendere e proteggere il campo dell’autonomia ed
    evitare per quanto possibile ogni contatto violento con il campo
    dell’ignoranza aggressiva di massa. Non sempre questa strategia di
    sottrazione non confrontazionale funzionerà. Cosa fare nei casi di
    conflitto non voluto si dovrà decidere caso per caso. La reazione non
    violenta è ovviamente la scelta migliore, ma non sempre sarà
    possibile.

    Castoriadis e i suoi amici fecero una rivista che si chiamava
    Socialisme ou barbarie, riprendendo una frase di Rosa Luxemburg.
    Ma nell'introduzione a Mille Plateaux Gilles Deleuze e Felix Guattari
    dicono che è ora di liberarsi dalla logica dell'"o".
    Il pensiero idealistico è ossessionato dalla logica della
    disgitunzione: o...o...o
    Il pensiero rizomatico sceglie invece la logica della congiunzione.
    "Un rizoma non comincia e non finisce, esso sta sempre nel mezzo, tra
    le cose, inter-esse, intermezzo. L'albero è filiazione, ma il rizoma è
    alleanza. L'albero impone il verbo essere, ma il rizoma ha come
    tessuto la congiunzione "e...".e.."..e.".In questa congiunzione c'è
    forza sufficiente per scuotere e sradicare il verbo essere. Instaurare
    una logica dell'e, rovesciare l'ontologia, destituire il fondamento,
    annullare fine e cominciamento." (Deleuze Guattari: Rizoma).
    Diversamente da Cstoriadis e i suoi amici dovremo dire dunque:
    Socialisme ET Barbarie.
    Il problema è quanto ampio sarà il campo della barbarie e quanto ampio
    sarà quello dell'umanità.
    Qua si colloca il nostro attuale compito politico e intellettuale.
    In una lettera a Freud, il suo discepolo Fliess chiedeva: maestro,
    quando posso considerare un'analisi finita, quando posso considerare
    guarita la persona che viene in analisi?
    Il vecchio Freud, che non era stupido, gli rispose che un'analisi si
    può considerare conclusa quando la persona che ti sta di fronte ha
    capito che l'analisi è interminabile.



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  7. giovannicesaretti
     
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    Certo se si comincia ad analizzare il momento socio-politico attuale verrebbe proprio la voglia di fare qualcosa di più incisivo di un GAS. Ma cosa? Chi ha delle idee le tiri fuori..
    Ciao Laura
     
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  8. Animus
     
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    Grazie a Michirob per l'articolo che avevo visto altrove ma che non avevo letto. Mi sembra dica cose stimolanti anche se in un linguaggio un po' da iniziati. La cosa che mi verrebbe spontanea è una domanda. Cosa potrebbe essere concretamente una Zona Autonoma NON Temporanea? Normalmente uno tradurrebbe questa espressione in un italiano più comune come un "gruppo" o, in modo più impegnativo, come una "comunità" che si sottrae alle strutture economiche e culturali imperanti. Ma storicamente questi termini sono sempre stati realizzati costruendo, per riprendere il linguaggio dell'articolo, delle totalità a cui la singolarità (della persona) deve essere in qualche modo "sacrificata". Come potrebbe essere pensato un progetto del genere in modo alternativo e cioè, senza che questo avvenga? E come un GAS (il nostro, per esempio) potrebbe muoversi e dare un contributo in una prospettiva di questo tipo?

    Daniele

    Edited by Animus - 7/4/2009, 20:00
     
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  9. Il poeta
     
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    Qui sotto riporto quanto è stato scritto da Ilaria e Laura nella sezione " prodotti/ pesce".
    Mi sembra che queste riflessioni esprimano molto bene cosa potrebbe essere un GAS e per questo mi piace "trasferirle" all'interno di questa sezione.
    Le loro impressoni riescono a comunicare quello che non sono riuscito a fare con le mie parole; chiedo scusa a Ilaria e Laura per l'appropriazione indebita
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    "Ieri con la Laura siamo andate a comprare - per assaggiarlo - il pesce del produttore Mare Nostrum, di cui si era parlato all'ultima riunione.
    Da un lato siamo state molto deluse.... perche' il pesciaiolo non è
    arrivato............................................
    Dall'altro ci sono piaciute molto, invece, il clima e le modalità dei nostri "fratelli" GASSISTI INDIAVOLETTATI.
    Una famiglia del GAS ha messo a disposizione una stanza della propria casa, in una corte, con un bel giardino.
    Il giorno della distribuzione diventa un'occasione per incontrarsi e assaggiare i prodotti.
    (fra l'altro Elena di Nicobio ha un ottimo lardo di cinta senese fatto da loro!!! non so... ci puo' interessare?)
    Qualcuno addirittura ci va, pur non avendo niente da ritirare, proprio perche' è un momento per ritrovarsi con gli altri.
    L'emporio indubbiamente facilita molto come copertura di orari, ma allo stesso tempo si pone di nuovo come luogo in cui si compra e si scappa.
    La mia riflessione, lungi dal voler giudicare due modalità diverse e comunque possibili, è che il confronto con le altre realtà che abbiamo vicine resta sempre molto importante.
    Per il pesce..... ritenteremo e vi faremo sapere!!!!

    ilaria (e laura)




    Ilaria ha descritto proprio bene le impressioni che abbiamo avuto! Nonostante il camioncino del pesce ci abbia dato buca siamo venute via contente per il clima di incontro che c'era lì!! Comunque uno dei prossimi martedì la ritentiamo.
    Prenderei spunto da questo per cercare di ri-vitalizzarci.
    Ciao Laura.






     
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  10. lalli
     
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    renato, no te preocupes: ci pagherai il copyright!!!!
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9 replies since 27/3/2009, 14:31   122 views
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